Il nuovo Piano Transizione 4.0 rischia di allontanarsi dalle esigenze reali delle piccole imprese italiane. Con una lettera indirizzata al Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, i presidenti di Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti chiedono modifiche sostanziali alla misura, ritenuta oggi troppo sbilanciata a favore delle grandi aziende.

Secondo le principali sigle dell’artigianato e del commercio, la legge di bilancio 2025 ha profondamente modificato uno strumento che negli anni scorsi aveva rappresentato un’opportunità concreta anche per le micro e piccole imprese. Oggi, invece, il nuovo impianto rischia di tagliarle fuori da percorsi fondamentali di innovazione e trasformazione digitale.
Al centro delle richieste inviate al Ministro c’è l’ampliamento del budget destinato al credito d’imposta per investimenti da effettuare entro il 31 dicembre 2025. Le associazioni spiegano che, senza una copertura finanziaria adeguata e programmata, le imprese non possono pianificare con fiducia le proprie strategie di sviluppo.
Non meno rilevante è il tema dei beni immateriali, come software e piattaforme digitali, attualmente esclusi dagli incentivi. Un paradosso, denunciano i firmatari, in un contesto economico dove la digitalizzazione è una condizione imprescindibile per restare competitivi.
C’è poi la questione burocratica: la comunicazione telematica delle spese, introdotta con il decreto direttoriale del 16 giugno 2025, sta generando incertezza e rallentamenti. Le imprese si trovano spesso nell’attesa snervante di sapere se la loro richiesta verrà accettata o respinta per esaurimento dei fondi disponibili.
Per queste ragioni, le associazioni chiedono che venga ristabilita l’automatica attribuzione del credito d’imposta, senza passaggi aggiuntivi o classificazioni come aiuto di Stato. Solo così – sostengono – si potrà restituire alla misura quella funzione strategica che ha avuto in passato: supportare davvero l’intero sistema produttivo, e non solo una sua parte.
L’appello al governo è chiaro: se il Paese vuole crescere, non può farlo lasciando indietro le sue imprese più piccole.